Ho qualche domanda da farti by Rebecca Makkai

Ho qualche domanda da farti by Rebecca Makkai

autore:Rebecca Makkai [Makkai, Rebecca]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Bollati Boringhieri
pubblicato: 2024-05-01T22:00:00+00:00


39.

Ero giù nel burrone, tra pendii tutti fango e ghiaccio. Ero lì da molto tempo – ore? – cercavo di piangere ma ogni tanto mi lasciavo andare a una risata pensando a quanto fosse grave la situazione.

Avevo i pantaloni fradici, gli scarponcini zuppi, i calzini gelati alle caviglie. Ero seduta sulla riva del torrente, su un pezzo di fango ghiacciato.

Se fossi riuscita a congelarmi fino al midollo, avrei potuto trovare un equilibrio tra il mio stato interiore e quello esteriore. Come l’omeopatia, come il chiodo scaccia il chiodo, come il veleno che fa da antidoto al veleno.

Non c’era una cosa sola che mi toglieva il respiro, era tutto l’insieme. L’improvvisa vaporizzazione di Yahav, e di Jerome e di Lance. Forse anche del podcast, sparito in una nuvola di fumo. Il lento dissolversi delle certezze che avevo avuto sulla morte di Thalia, un dissolversi che mi terrorizzava ammettere, ma che non potevo più ignorare. La consapevolezza che tu, una delle cose migliori di Granby, avresti potuto essere non solo un impostore, non solo un predatore, ma – era possibile, finalmente stavo lasciando che l’idea affiorasse pian piano – un mostro ancora più violento.

Ho aspirato dell’aria, ma era soltanto spazio vuoto, zero ossigeno.

La notizia del telegiornale aveva colpito anche me, attanagliando i miei sogni. Nessuno voleva ascoltare la testimonianza della ragazza. Hanno deriso la sua dichiarazione scritta sulle conseguenze che ha dovuto subire. Hanno letto il suo diario ad alta voce.

Da qualche parte laggiù c’era il sasso che avevo lanciato. Da qualche parte laggiù c’era l’hula hoop dei nostri esperimenti, con un quarto di secolo di cambiamenti dentro il suo perimetro.

L’altarino di Kurt, invece, l’avevamo costruito nell’altro bosco, quello in fondo al campus, collegato a questo ma più secco, più pianeggiante, più fitto. Era lo stesso bosco in cui era stato ritrovato il corpo di Barbara Crocker nel 1975, appena fuori dal confine di proprietà di Granby. Era il bosco dove, nel cuore della notte, alla fine dell’ultimo anno, avevo portato il mio zaino con la mezza bottiglia di Absolut Kurant rubata dall’armadietto dei liquori degli Hoffnung, mi ero seduta sotto l’albero dove le pagine delle riviste, i biglietti e i fiori si erano ridotti a brandelli, e avevo bevuto direttamente dalla bottiglia, sfidandomi a ingurgitarne ancora prima che arrivasse la prima botta, e poi ancora. E quando era arrivata, lo aveva fatto con la forza di una corrente sottomarina violenta che mi aveva trascinato lontano, molto lontano, verso le acque oscure.

La mattina dopo mi ero svegliata vomitando, con la schiena, il collo e la testa che pulsavano, le dita intorpidite. Ricordavo vagamente di aver tirato fuori il Tylenol dalla tasca laterale dello zaino e di aver ingoiato le sette compresse ancora nel flacone. Se ce ne fossero state altre avrei inghiottito anche quelle. L’avrei fatto. Ricordo di aver sussurrato da ubriaca nell’aria della notte: «Sono andata nel bosco perché volevo vivere consapevolmente». Era una specie di rimprovero al bosco, alla scuola, a me stessa. Ero venuta qui per vivere in maniera consapevole e avevo fallito.



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